Il Centro studi di Confindustria lancia l’allarme: l’industria italiana corre il rischio di una crisi strutturale perché è alla prese con la debolezza ormai in corso da mesi e con la nuova incertezza legata ai dazi. A febbraio, evidenzia il CsC, la produzione è calata dello 0,9%, dopo il rimbalzo a gennaio pari a +2,5 per cento. La variazione acquisita nel primo trimestre è positiva dello 0,4% dopo cinque trimestri in calo. Ma il cosiddetto indice Rtt (Real time turnover) indica un calo profondo del fatturato a febbraio, il Pmi segnala ancora flessione a marzo (46,6 da 47,4) e la fiducia peggiora. A marzo, specifica ancora il Centro studi, si è deteriorato per il secondo mese il clima di fiducia, scendendo sotto la media del 2024. È aumentata l’incertezza di politica economica, che frena le scelte di investimento delle imprese. Non solo. I giudizi sulle condizioni per investire nel primo trimestre 2025 peggiorano rispetto a fine 2024, sia nei servizi che nelle costruzioni, mentre restano quasi invariati nell’industria.
L’impatto si vedrà sul Pil italiano che è atteso in crescita modesta nel primo trimestre 2025. Nella simulazione fatta dal Centro studi, dove si nota come «unico effetto collaterale positivo» la discesa del costo dell’energia, i dazi e l’incertezza causeranno una minore crescita dello 0,3% del Pil italiano nel 2025-2026, a causa di una più bassa dinamica dell’export di beni (-1,2%) e degli investimenti in macchinari (-0,4%). Confindustria chiede quindi di evitare una ritorsione tariffaria Ue sugli acquisti dagli Usa, che impatterebbe sui prezzi e sulla fiducia di famiglie e imprese, con un’ulteriore frenata della crescita. Per gli industriali, diventa piuttosto «cruciale concludere nuovi accordi commerciali Ue con altri importanti partner economici (Mercosur, India)». Nello studio si ricorda, inoltre, che gli Stati Uniti sono la prima destinazione extra-Ue di beni, servizi e investimenti diretti italiani. Detengono il primato sia come localizzazione delle imprese industriali controllate da quelle italiane, che come paese di provenienza di multinazionali in Italia. Il manifatturiero genera la quasi totalità dell’export italiano negli Usa, pari a più di un decimo delle vendite manifatturiere all’estero (10,8%). Secondo stime del CSC, le vendite negli Usa attivano, direttamente e indirettamente, quasi il 7% della produzione manifatturiera italiana (circa 90 miliardi). I settori più esposti sono farmaceutico, autoveicoli, macchinari.
Sul fronte del commercio estero, altri numeri preoccupanti sono arrivati ieri dall’Istat: l’export italiano sale a febbraio su base annua dello 0,8% in termini monetari ma si riduce del 4,3% in volume e tracolla quello verso gli Stati Uniti con un -9,6 per cento. «Su base annua – si legge nella nota diffusa dall’istituto i Paesi che forniscono i contributi maggiori all’aumento dell’export nazionale sono Germania (+14,5%), Spagna (+21,1%), Svizzera (+17,3%), Regno Unito (+10,4%), paesi Opec (+12,9%) e Paesi Bassi (+13,3%). All’opposto, Stati Uniti (-9,6%), Belgio (-11,8%), Turchia (-9,9%) e Austria (-9%) forniscono i contributi negativi più ampi. Quanto ai singoli settori, mentre si registra un boom delle vendite all’estero per gli articoli farmaceutici si segnala un crollo per le vendite degli autoveicoli con un -11,5% sullo stesso mese del 2024. In due mesi il calo delle vendite all’estero per le auto è del 13,7 per cento.
In generale, a febbraio 2025 l’Istat stima una crescita congiunturale più ampia per le esportazioni (+3,5%) rispetto alle importazioni (+1,7%). L’aumento su base mensile dell’export riguarda entrambe le aree, Ue (+3,7%) ed extra-Ue (+3,2%). Nel trimestre dicembre 2024-febbraio 2025, rispetto al precedente, sottolinea l’Istat, l’export cresce del 4%, l’import del 3 per cento. Intanto, il deficit energetico (-5.000 milioni) è superiore rispetto a un anno prima (-3.749 milioni).
L’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici si riduce in misura contenuta, attestandosi a +9.466 milioni di euro (da +9.749 milioni di febbraio 2024). Nel mese di febbraio 2025 i prezzi all’importazione aumentano dello 0,6% su base mensile e del 2,2% su base annua (era +1,4% a gennaio).
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